Ho visionato Another Earth.
Considerazioni a caldo.
Ci si può innamorare della luce che splende di dolorosa consapevolezza
esistenziale negli occhi di lei. E dei suoni, della fotografia, dell'oro
di suoi lunghi capelli - e della dolorosa, disumana consapevolezza che
rifulge d'amore e compassione dappertutto.
Ho lacrimato nel vederla stendersi accanto l'indiano sordo-cieco,
sensorialmente isolato.
Ho lacrimato alle lacrime di lui, dopo la
cosciente necessità del perdono.
Il dramma scoperchia la vastità del'Io interiore, e dell'inconscio,
assurgendo a dimensioni di cosmo, di universo, di consapevolezze
totalizzanti.
Se la sincronicità fra i due Io, apparentemente divisi, viene spezzata
nel momento in cui si osserva per la prima volta l'altra Terra, vuol
dire che le due ragazze hanno visto l'altra Terra in momenti differenti.
Che le possibilità deterministiche implodono nel momento in cui,
consapevoli, ricongiungiamo io e l'Altro.
In termini puramente filosofici-psicologici, il film inscena una palese
esplicitazione del dialogo interiore con l'Io, che crea metaforicamente
un altro da sé, altrove, avulso, nel film materializzatosi in un altra
Terra.
Quasi una parabola del trascendersi, nel senso di vedersi realizzati
altrove, in un aldidlà al contempo che è qua, hic et nunc, dentro noi
(ribadito a metà film dal vecchio cieco, non ancora sordo).
E poi l'intento buddista di coltivare il silenzio interiore, scevro da
ogni contaminazione del razionale, per giungere all'assenza di concetto e
facolta concettualizzatrice.
...
Avrei preferito che la luce, il suono della luce e quella fotografia e
l'azzurro degli occhi di lei, non avessero storia conclusiva, ma fossero
durati indefinitamente.
Come in certi passaggi di puro vagare per poi metabolizzare la
magnifica, splendida suggestione ambientale di The Last of Us.
http://it.wikipedia.org/wiki/Another_Earth
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