mercoledì 26 dicembre 2012

LUIGI MARRONE E L'IMPERSONALITA' DI HALO

Era il 1983 se ben ricordo. Ma ciò che più fortemente ricordo è che sino a 13 anni sono andato a letto ogni sera alle 22.15, limite orario incontestabile. Ero costretto a video-registrare tutto ciò che ritenevo interessante in TV in quanto i film iniziavano tutti alle 20.30 e terminavano alle 22.30, e salvo alcune rare eccezioni quali Terminator e Robocop, proiettati rispettivamente nel 1987 e nel 1990 e per i quali io e mio fratello dovemmo letteralmente supplicare nostro padre con una settimana di anticipo, in realtà ricordo una folta sequela di film troncati senza mezzi termini a poco meno di 15 minuti dalla fine: The Untouchables, Mad Max, Platoon, Chi è Remo Williams, Ritorno al Futuro, Rambo II, The Running Man… Ad aumentare il supplizio era che il giorno successivo, durante scuola (elementare soprattutto), i miei compagni di classe, maschi e femmine indistintamente, parlavano del film visto la sera prima, mentre io dovevo tapparmi le orecchie per non ascoltare ciò che nel pomeriggio avrei visionato in videocassetta. Quei quindici minuti di film ancora da vedere erano preziosi e assolutamente non negoziabili. [Tratto da http://www.electronicself.blogspot.it/ ]

domenica 25 novembre 2012

LUIGI MARRONE - Project Zero & affetto retroconsole-retrocast13


La verità è che il progresso tecnologico videoludico ha il potere di re-immergere l’anima nel ricordo, ristrutturando l’emozione e infischiandosene del tempo trascorso: é così che la tecnologia soprassiede sul tempo, quando ciò che non è stato permesso un tempo può essere sbattuto in faccia all'utente oggi, bellamente, costringendo il videogiocatore a riformulare la propria avatar-immersione passata, l’emozione registrata nella propria memoria videoludica.

LUIGI MARRONE E LA NUOVA CHIESA DEL VIDEOGIOCO - TRATTO DA OUTCAST N.21

domenica 21 ottobre 2012

Marmaflash Zaro di Luigi Marrone


Marmaflash Zaro di Luigi Marrone

All’inizio Raimond non fu così sicuro vi fosse scritto “Zaro”.
Aveva trovato la porta dell’appartamento di Marcel aperta, aveva bussato più volte e più volte lo aveva chiamato. Non ricevendo alcuna risposta, alla fine era entrato.
Un foglio.

Sul tavolo del soggiorno.
Un foglio zeppo di frasi sul quale campeggiava quell’assurdo titolo: Marmaflash Zaro.
Era la scrittura di Marcel quella lì. L’avrebbe riconosciuta fra mille altre, da lontano. D’istinto cercò di convincersi che l’amico s’era sbagliato, che avesse voluto scrivere “Marmaflash Zero” piuttosto che “Zaro”. Il guaio però era che non aveva la più pallida idea riguardo al significato.
Ordinate in colonna, l’una sotto l’altra, le frasi in elenco si dilungavano a perdifiato.
“Vortica il pollo, veloce e poi piano. Dai colori della notte piovono dolci kayak”.
E più sotto:
“Regalami, o fato, omogeneizzati al canguro. Solo questo ti chiedo, in nome del re ”
E ancora:
“V’apro il mio chiostro, o miei alati cognati. Vi prego, vi supplico! Tuffatevi in me”
D’improvviso Raimond sentì qualcosa perforargli la calma. Fu come una bolla di paura apertasi in gola e nella pancia, che lentamente lo soffocava. Sollevò gli occhi dal foglio e prese a guardarsi attorno sconcertato. Fu a quel punto che avvertì l’orrore d’una certezza, come se un ingranaggio nel meccanismo della ragione gli si fosse inceppato: dopo tutti gli anni d’amicizia con lui, realizzò di non essersi mai reso conto di quanto Marcel fosse mentalmente deviato.
Marcel.
Il suo caro Marcel.
Il suo unico e migliore amico, Marcel Duvinàs.
L’amico con cui da bimbo stava giocando a campana, quando a un isolato di distanza il palazzo dei suoi genitori era esploso.
L’amico grazie al quale era riuscito a smettere d’aver terrore degli alberi, dopo quasi dieci anni d’ipnosi e analisi.
L’amico che proprio in quei giorni lo stava aiutando a re-incollare il cuore spezzato, dopo che quella schifosa di Luise lo aveva scaricato.
Marcel.
Il suo caro Marcel.
Il suo unico e migliore amico, Marcel Duvinàs.
Cominciò ad ansimare di brutto, Raimond. Presto s’accorse che la coscia destra gli aveva preso a tremare, le palpebre a sbattergli frenetiche come farfalle terrorizzate.
Sentì come se la realtà volesse scivolargli fuori dal corpo, la vita sgusciargli via da dentro.
Di colpo si ritrovò ad avvinghiare lo schienale di una sedia, strozzato da un terrore cieco. Artigliò poi i bordi del tavolo, raschiando a fondo il legno prima di raggiungere il carrello dov’era poggiata la tv. La sradicò di peso per trasportarla sino alla parete in fondo, dove la lasciò cadere per gettarsi sul frigorifero. Lo tirò dallo sportello e lo trascinò con sé fino alla stanza da letto, dove mollò la presa per tuffarsi a stringere forte il comodino. Pallido e senza fiato, Raimond si guardò attorno incredulo, sgomento, terrorizzato.
Poi, black out.
Al risveglio realizzò d’essere rannicchiato sotto il letto di Marcel, in posizione fetale. Trascorse alcuni minuti inerte, nel silenzio, ad osservare il pavimento sporco d’uova spaccate, pezzi di verdura tranciati e vetri frantumati. L’aria puzzava di circuiti bruciati.
Strisciò pian piano sino al tavolo del soggiorno, dove s’alzò con fatica per scrutare di nuovo il foglio, pregando iddio d’essersi solo imbattuto in un sogno, in una stupida allucinazione dello sguardo.
“Feodor Garcia III, la nuova vita di un formichiere sellato” lesse.
“Echi mortali nella palestra di Madre Fanny, un nano si tuffa nel cuoio” continuò.
“Ascensori vogliosi sul pianoforte di zia: ecco le nostre più amabili cagne”.
E più su, in cima al foglio, quel maledetto titolo bastardo: Marmaflash Zaro.
“NO, NO, CAZZO! NON PUO’ ESSERE ZARO! NON PUO’ ESSERE ZARO!“ urlò Raimond.
E prese a sbattere cazzotti sul tavolo, tirò calci alle pareti, rovesciò gli oggetti ringhiando e schiumando come un indemoniato. Si schiantò poi contro le mensole, prese a testate il parquet, gridò ferito dal rancore come un animale scannato.
Poi, di colpo, Raimond si bloccò.
Immobile, al centro della stanza, lo sguardo allucinato.
Avanzò dunque verso la finestra in fondo e senza emettere fiato la sfondò con un salto e si gettò di sotto, fuori dal palazzo di Marcel.
Uscì da dietro la porta del bagno lui, mano nella mano con Luise.
La prima cosa che fecero fu trascinare il frigo al suo posto, accertandosi che non fosse andato. Raccolsero la televisione e la portarono in fondo alla stanza, sul carrellino dov’era all’inizio poggiata. Presero poi a pulire il pavimento, raccogliendo i pezzi di vetro sparsi attorno. Li misero dentro una busta, con calma, uno dopo l’altro, facendo attenzione a non tagliarsi.
D’un tratto Marcel alzò gli occhi verso Luise che spazzava. Ammirò quel suo profilo delicato, i lunghi boccoli dorati, la dolce linea delle labbra…
Scosse il capo con un sorriso malsano.
“Cristo. Non credevo avrebbe funzionato” disse.
Fuori s’udivano le prime sirene, mentre i due continuavano a riordinare.
“E comunque era proprio Zaro, amico mio”, si ripeteva Marcel dentro.
“Era Zaro”…
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RACCONTO CANDIDATO AL CONCORSO "Montesilvano scrive 2012,"

lunedì 24 settembre 2012

Ho sempre creduto che il pallino di risultare originale, conturbante o quantomeno non banale, sia per uno scrittore di razza il principio da cui partire per determinare buona parte della sua volontà d'esprimersi.
Ed è esattamente cosi che immagino un professionista all'opera: concentrato nel costante e ideale sforzo necessario a irretire un immaginifico lettore-tipo, un essere ultraesigente sempre pronto a criticare tutto e a uscirsene fuori dicendo cose tipo "E allora? E scritto molto bene, certo, ma nulla di nuovo alla fine".
Mi riferisco ovviamente al piu infido dei lettori, il classico tipo scafato in fatto di letteratura che alla fine chiude il libro notificando d'essere stato si intrattenuto, ma ben cosciente di non esser stato nobilitato di un solo grammo sputato.
A volte, riguardo chi fruisce dei videogiochi, io sento, penso e temo la medesima cosa.
Temo che col tempo un giocatore smaliziato possa tendere a farsi più esigente, scafato e a tal punto sintetizzante da bastargli dieci minuti di tutorial, forse anche meno, per riuscire a intuire dove il tale gioco X voglia andare a parare.
È cosa nota, infatti, che la prolungata frequentazione dei videogiochi, la pratica delle svariate tipologie di garneplay, boss, combo e plot narrativi sottesi alla vera e propria interazione, siano ringalluzzenti, ma comportino il naturale rovescio della medaglia dato dall'inevitabile familiarità con gli universi videoluclici tout court.
Oltre quindi all'intrattenimento in sé, videogiocare significa necessariamente l'essere edotti sull'universo del Videogioco, col rischio che nel momento in cui si affronta una nuova esperienza, tutto ciò che prima si è vissuto, goduto e metabolizzato cospira adesso per il ridimensionamento dell'effetto novita, facendo insorgere nell'utente una fastidiosa eventualità: quella di sapere cosa aspettarsi, anticipando di fatto il gioco da affrontare.
È questo a fare da contrattare all'esperienza ormai archiviata: l'ingenerarsi della capacità di saper tracciare una probabile linea di sviluppo, con relativa probabilità di calo d'interesse, svalutazione e conseguente ricerca di stimoli altrove. [ignoto, da un punto di vista strettamente psicologico, e uno dei fattori che stimola e presiede all'interesse umano per la vita. Molto più facile invaghirsi di ciò che è misterioso rispetto a ciò che invece risplende alla luce del sole, crudo e svelato.
Proiettarsi verso ciò che stimola fantasia e curiosità mantiene lo spirito in una tensione positiva, attivata da tutto ciò che non si é in grado di anticipare.
Nel momento in cui ragione e calcolo assumono posizioni sistematiche e preponderanti, quando per intenderci siamo in grado di prefigurarci quel barile esplosivo che non appena voltato l'angolo ci aiuterà ad eliminare una trotta di nemici in arrivo (cosi come poi in genere accade), a quel punto c'è il rischio che il ludo-appeal subisca uno smottamento, un ridimensiona-mento generale, a tutto scapito della nostra cara e beneamata passione.
É forse questo uno dei motivi per cui, riguardo ai videogiochi, s'avverte la necessità di vivere belle storie, lasciandoci attraversare da pezzi di vita virtuale che per qualche ora sappiano accompagnarci nel cammino di quella reale.
Non è un caso che coloro che hanno acquistato l'ultimo Mass Effect lo abbiano fatto in primis per la storia, e non per le ormai trite meccaniche di shooting o per il suono ganzo dei servomotori della tuta di John Shepard.
E ancora non è un caso se l'accanimen-to critico dei videogiocatori per l'ultima fatica di Bioware si sia concentrato esclusivamente sul suo controverso finale. Forti di quanto detto sopra, ecco quindi che spuntano in rete certe stranezze, robe deliranti tipo giocatori che amano a tal punto le storie dei videogiochi da desiderare ad esempio che Sam Lake, lo scrittore dietro Max Payne e Alan Wake, non muoia mai.
E sufficiente cliccare all'indirizzo : www.ipetitions.com/petition/samlake4life/  per scoprire come qualche matto si sia preso la briga di mettere su una simpatica petizione online, da spedire presumibilmente al server del Creatore, nella quale viene fatto appello a tutti noi gioca-tori affinché venga apposta una firma che faccia si che Sam Lake possa non crepare mai.
Si tratta ovviamente di un gesto puramente goliardico, una buffa giggioneria messa su tanto per ridere, eppure in qualche modo fa riflettere: parliamo di giocatori che reclamano l'immortalità non per un game designer come può esserlo Shigeru Miyamoto, ma per un semplice autore che scrive "storielle" per i videogiochi.
Detto questo, io vado a firmare. Venite anche voi? 


[ Copyright Playstation Magazine - tratto dal numero di maggio 2012 - tutti i diritti riservati - vietata la duplicazione]

venerdì 21 settembre 2012

domenica 29 luglio 2012

LUIGI MARRONE parla di PORTAL per Commodore64


I limiti hardware dietro i videogiochi riducono le facoltà umane d’espressione, in quanto queste, a loro volta, vengono limitate, azzoppate, handicappate dagli inevitabili limiti congeniti della tecnologia che ne è alla base.
Ciò comporta l’idea che sino a quando il vecchio sarà rimpiazzato dal nuovo, vi sarà la diffusa, conscia/inconscia opinione critica che un prodotto videoludico non presenti solide fondamenta né una base certa dalla quale poter analizzare esteticamente il medium in modo paradigmatico, con il conseguente rischio di non poterlo considerare in grado di generare forme artistiche compiute come per altre forme espressive.
Limitando difatti le possibilità dell’uomo, il limite hardware costringe l’uomo a privarsi di una delle caratteristiche che lo rendono uomo/artista in quanto tale : la totale libertà di espressione della propria visione, ovvero di realizzazione della stessa. Per questo il medim videoludico potrebbe difficilmente essere accostato, dal sistema critico, ad altre espressioni artistiche umane.

domenica 8 luglio 2012

LUIGI MARRONE e MATTEO BITTANTI -PROVE TECNICHE DI LUDICIZZAZIONE.



tratto dal pocast Outcast

La domanda è perché tutto questo mi ha rapito. Forse perché l’aggiornamento tecnologico applicato ad un prodotto videoludico, nel permettere realismo videointerattivo rende visibile ciò che in passato aveva emozionato nel solo immaginarlo. Quella stessa intima emozione passata, decantata da anni nella memoria, viene riformulata e attualizzata al presente, portando con sé un carico di languida melanconia.

luigi marrone - informazione videoludica;riflessi sull'industria


Giocare in HD mi ha permesso di formulare il seguente pensiero: se i detrattori e i veri demonizzatori dell’arte videoludica, ossia i generazionali ignoranti, temono in primis le conseguenze del VideogiocoChePareVero, il realismo visivo, il confondersi del piano reale con il virtuale et viceversa, c’è da rendersi conto che dopo il seme dell’Alta Definizione non si tornerà più indietro. Così come da Resident Evil4 non si torna più dietro. No way out da Silent Hill. No backtracking in Gran Theft Auto.
Ipse dixit, giocheremo con controparti digitali foto-reali, ambienti digitali con mimesi totale, avvolgenza di suoni ambientali per coinvolgenti immersioni acustiche nel cyberspazio videoludico.

Luigi Marrone - mario bros da zzap per c64


A questo punto è doveroso interrogarsi su tale quesito : L’eccitazione, la felicità donata dal disincarnarsi che spesso si prova immersi in un ambiente virtuale ludo-interattivo, tratta forse del preannuncio dell’ineluttabile abbandono del proprio corpo, un giorno, per una nuova sensorialità orientata alla visione di una Divinità ?

LUIGI MARRONE - L' INDIPENDENZA DEI GIOCHI VIOLENTI


UNTIL THE END OF THE WORLD di Wim Wenders postula un head-set record-neuronale in grado di registrare l’inconscio proiettando frames d’immagini nella corteccia cerebrale in modo da poter rivedere in low-fi persino i propri sogni passati. In altri termini, riesumare visivamente ciò che era sigillato nella memoria umana, ma che legittimamente le appartiene in quanto parte inconscia ed operativa di lei.
Rivedere quel che si era quindi, riflettendo su quello che si sarebbe potuto essere... diviene un processo languidamente sfinente.
SNAKE EATER permette di partecipare alla causa scatenante le future conseguenze che tutti i veri fan di MGS hanno già conosciuto, ma dentro me il processo è risultato intenso e avvolgente a causa del risveglio di risonanze emotive che successivamente ai vari MGS, e dopo aver sentito storie, vissuto sequestri di scienziati, METAL GEAR RAY, ARSENAL e PATRIOTS e reparti speciali e tutti gli altri intrecci ormai decantati nell'anima, hanno contribuito a relegarmi spiritualmente nel passato.
La magnifica kojimiana caratterizzazione visuale/storico/narrativa, contestuale al gameplay, non ha fatto altro che proiettarmi e guidarmi in un tempo particolare: il tempo della mia assenza, il tempo ancor prima che io nascessi.

LUIGI MARRONE SU LAZY JONES


Il primo sforzo della nuova generazione qui nella Europa pre-Playstation3 si chiama XBOX 360, e alle 4 del mattino nel buio della mia Room sto richiamando alla mente il suono di ventole dal suo chassis latteo, il calore emanato dal retro della console, l'anello di luce rotante X-box che si stampa fluorescente su schermo all’avvio di sistema, i caratteri alfabetici di una Dashboard ultradefinita, fra le vivide immagini pubblicitarie del servizio Live.
Ma soprattutto é esploso come uno schianto silenzioso lo schiumare nitido e perfetto di colori in alta definizione, senza sbavature, aloni o immagini persistenti… una veemenza stordente, una rivoluzione dell'immagine ad evolvere la percezione videoludica umana.

LUIGI MARRONE - IL VIDEOGIOCO CHE NON C'E' CON PARENTESI FEZ



Tutta la volontà era lì, dentro un MSX2, ed ora è anche qui, dentro una PLAYSTATION 2: spazzare via un mucchio di pixel affastellati attraverso un proiettile dalla forma di un quadrato bianco, cosi come sgozzare un ammasso di milioni di poligoni vivi trattati in gourad shading - sentendoli urlare mentre il joypad é in vibrazione - osservando sangue schizzare sul vetro interno dello schermo… nulla risulta diverso nel tempo.
Lo scarto rimane prerogativa tecnologica, non delle idee.

VAGITI DI LIBERTA' NEI VIDEOGIOCHI - SPEED RUMBLER E HUNTER - DI LUIGI MARRONE


Gears of War é chiusura ed ermetismo, riparo tattico, ricarica attiva, fuoco!: war zones calcolate ad hoc, battlefields generati dentro congeniali scenari interni ed esterni totalmente obbligati a sfociare verso compartimenti bellici stagni ove a voler tentare il backtracking, superato uno dei tanti Punti di Sosta, ci si accorge che dove prima v’era l’apertura dalla quale si é passati si é ora materializzata una barricata d’assi legnose, porte ermetiche, mucchi gibbosi di rocce occlusive, mentre Gears Of War spintona a procedere, a falciare, a tralasciare obiezioni e appunti sino all’epilogo fra i Pezzo di Merda e i Vaffanculo e i dialoghi rudocazzuti dei soldati della coalizione immersi fino al collo in cliché narrativi, senza mai nessun kojimiano guizzo giocoso, senza nessuna cerebrale sorpresa, no Toyama alternative ending.

E se MetalGearSolid4 avesse Achievement Points? - di Luigi Marrone

L’attrazione, l’entusiasmo, l’aspettativa per l’Altrove permesso degli spazi Videoludici è con tutta probabilità specchio dell’inconscia tensione verso un possibile, latente Aldilà. Il videogiocatore si immerge in cyberspazi per sostanziare altre vite, altre possibilità fantastiche : egli tenta il disincarnarsi dal proprio corpo per immergersi in altri schemi sensoriali, altri punti prospettici, percezioni e facoltà virtuali di altre entità digitali. In altri termini, il videogiocatore si immerge in cyberspazi videoludici per trasmigrare la propria anima in ambienti che fisio-trascendono i dati della realtà sensoriale non “in- game”.
 [Tratto da http://www.electronicself.blogspot.it/ ]

Lo Sparare nei videogames.Metafora di cosa-di Luigi Marrone


Eppure X-360, mero tower case PC fatto console reclama sinuosità e slancio attraverso le morbide concavità fronte/retro: un vezzo alla sorella X-Box n°1.
Da malato di George Romero, per quanto il regista ci tenga a prenderne le distanze dal proprio Dawn of the Dead, giocare Dead Rising in HD mi ha lasciato intuire come potrebbe visualmente presentarsi il futuro dell’intrattenimento elettronico: Video-interagire con controparti digitali foto-reali, ambienti digitali con mimesi totale, avvolgenza di suoni ambientali per suggestive immersioni acustiche in cyberspazi videoludici.
In altri termini, in assenza di Hub, icone, punti o altro, l’evoluzione sarà l’approssimarsi sempre più al reale sino al completo inganno mimetico dell’artefatto videoludico. 100% Camouflage.

Mass Effect l'emozione di interagire in narrazione e significato - di Luigi Marrone


SNAKE EATER è suggestione in armonica risonanza con qualcosa di me, il mio io bambino stupefatto davanti un televisore nell’anno 1984 - impressionato dai disegni di copertina sulle scatole contenenti le cartucce di un Commodore Vic 20 - fantasticando su quanto il videogioco potesse avvicinarsi alla realtà, lo scarto fra la realtà di fuori e la realtà di dentro, i ritagli liquidi di luce sul balcone di casa e i pixel schiumanti in brillanti cromatismi sullo schermo TV.

Luigi Marrone e il gameplay emergente - tratto da Retrocast #10


Kojima afferma, non insensatamente, che i videogiochi sono pensati oggi come servizi, idee implementate come un servizio ai videogiocatori: servizi on-line, servizi multiplayer in co-op, servizi igienici… persino la calibrazione della difficoltà rientra nella categoria del servizio. In definitiva, i videogiochi mass-market oggi sono come servizi per l'entertainment, servizi per il divertimento forniti all’utente, che pur NON-chiedendoli esplicitamente se li ritrova, li ottiene dietro corrispettivo.
E’ davvero ciò che si vuole? La qualità dei prodotti videoludici deriva per buona percentuale dalla conseguenza dei mass-market generati dai videoplayers?

Luigi Marrone su The Sentinel - tratto da Retrocast #10


XBOX360 continua a ronzare ad aria calda, pompa elettroavida di 250 watt dalla multipresa, si ritorna agli alimentatori old school, ai miei cari Commodore 64/Amiga, alla persistenza esterna dell'alimentazione come fa Nintendo… ma i cavi americani sono polposi e di calibro non indifferente, adatti a mani americane polpose da hot dog e hamburger, di calibro non indifferente.

Luigi Marrone e la bestia nera dei tutorial



Nel riemergere da Metal Gear Solid 3, nel ritornare alla luce del non-virtuale dopo la verde risonanza aurica del quale il suo universo è cosparso, é stata per me come un’emozione risonante nella dorata filigrana del ricordo.
Un tepore intimo, interiore, fomentato da profonde ed emotive sinestesie regalatemi dalla memoria di un particolare universo endo-psichico, video-ludico e video-emozionale: l’universo del mio passato, operativo in me.
Spesso l’emozione memoria reclama d’essere espressa attraverso libere associazioni, in quanto suggestione personale infusa in quel particolare fervore atto a registrare l’irrazionale, vicino al sentimento: il ricordo della propria adolescenza.

Verde è il fungo luminescente russo e la rana subaspera, la mimetica fogliare e l’acquitrino della palude. Verde é il pitone arboricolo, la raganella e il muschio sulla pelle di THE END, verdi sono le mimetiche e l’uniforme standard dell’ex Green Beret John, i rettili in agguato sugli alberi e le radiotrasmittenti, le divise militari, l’uniforme di EVA, le passerelle antisdrucciolo cigolanti, la copertina e la serigrafia sul CD…

LUIGI MARRONE E IL PEGI


Non è mistero infatti che ogni realtà virtuale é rappresentazione elettronica di un ambiente fisio-trasceso, ma ben più filosoficamente stimolante è ammettere che l’attrazione, l’eccitazione, la curiosità per l’Altrove permesso dagli spazi videoludici nasconde la fascinazione per la possibilità di incontrare e di restare illuminati da qualcosa che sia lo scopo ultimo dell’esistenza.
Immergersi in videogames vuol dire sempre immergersi in realtà fisio-trascese, universi elettronici di carne-assenti. L’eccitazione e la voglia di videogiocare trasformano la prima partita ad un nuovo Videogame in un viaggio inizialmente carico di mistica tensione verso l’Ignoto (VideoLudico).

Luigi Marrone ed i videogiochi indie


 Nessun videogiocatore che si consideri davvero tale dovrebbe esimersi dal terminare uno dei capitoli 3D della Zelda Legend: avvertire come l’edificazione videoludica venga trascesa dallo spirito umano generato dal lavoro Nintendo, dentro il cuore della Leggenda di Zelda, esprime un impagabile valore.

Ho acquistato Zelda Twilight Princess su GameCube, dopo aver disdetto la mia prenotazione del Nintendo Wii.
Sentivo di doverlo, al Cubo e a me

Luigi Marrone parla di Shadow Of The Colossus


RetroLiving
E' 1987 adesso, e io ho 9 anni. Classe 4a elementare, e sono in piena esaltazione mediatica. Abbiamo deciso, io ed Emilio, di programmare un videogioco, IL videogioco dei Master of The Universe. Non sappiamo come e dove cominciare, ma io possiedo un Commodore 64 e sono certo di una sola cosa al mondo: che mio padre sarà in grado di riuscirci. Mio padre programmerà il videogioco di He-Man.
Emilio disegna He-man e Skeletor su di un foglio A4, posture frontali e laterali. Mi allunga i fogli, pieno della mia stessa speranza. I disegni sono perfetti.
E’ sera quando mio padre rientra a casa dal lavoro. Aspetto che si sieda per la cena, poi gli mostro i disegni. “Papà, puoi programmare un gioco con i Masters?“ gli chiedo.
Lui osserva i fogli, poi mi guarda e accarezzandomi mi risponde dolcemente “ Non lo so fare, papino “.
[Tratto da http://www.electronicself.blogspot.it/ ]

Fabio Bortolotti e Luigi Marrone - Conferenza ICO


A proposito dello stato di trance del videogiocatore immerso in una esperienza virtuale, Ivan Fulco scrive ne Lo zero ludico – Decostruzione del videogioco e fondamenti della pulsione ludica (Per una cultura dei Videogames. Teorie e prassi del videogiocare. A cura di Matteo Bittanti. Unicopli. 2002/2004) – (parentesi e corsivi miei) :
Quello che conta è che in quel momento, dopo la decisione di proseguire (nel videogioco), il giocatore è quasi felice. Per un breve istante può anche credere di vincere nel gioco della vita. Almeno fino a rendersi conto che non si tratta altro che di un videogame “.
Rielaborando il pensiero di Fulco in modo polisemico e speculativo, ci si chiede : E se questa felicità in ultima analisi non fosse altro che il sintomatico e inconsapevole esplicitarsi di una pulsione mistica appartenente a tutti i fruitori di realtà virtuali, videogiocatori compresi, ossia quella di raggiungere una ideale la fonte di energia del Tutto ?
E ancora : E se questa complice e inconsapevole pulsione insita in ogni gamers fosse assimilabile all’esperienza panica legata alla possibilità di incontrare il Divino ?
La forma mentis del videogiocatore attento alle vibrazioni del mondo videoludico tende a sensibilizzarsi osmoticamente con l’universo d’informazioni che lo circonda. Le riviste di settore hanno la tendenza e il potere di strutturare l’apparato filosofico e per certi versi metafisico del lettore.

LUIGI MARRONE - IL VIDEOGIOCO E L' ARTE



Le morti colpiscono ancora più fortemente. Sono dramma di Game Over indimenticabili. Adoro le morti di Resident evil 4 in quanto sputo in faccia all'invulnerabilità indolente e hollywoodiana dell'Eroe protagonista. Sequenze action drammaticamente spezzate. E' questo il videogioco che mai sarà permesso al cinema.
Io posso veder morire l'Eroe.
Perché non ci sono più Super-Eroi.
In Resident Evil 4 si muore male.
[Tratto da http://www.electronicself.blogspot.it/ ]

DOPOLAVORO - DI LUIGI MARRONE

GameCube

GameCube è stata in assoluto la mia prima esperienza con una macchina Nintendo. Ricordo d’esser rimasto affascinato alla vista dei suoi piccoli dischetti, dalla velocità dei caricamenti, e dalla pulizia grafica, dai colori vividi, dalla gioia e dal senso di vita traspirante da quel nero Cubo plugged in allo schermo - Ricordo d’aver pensato che le console hanno un’anima differente le une dalle altre: un sapore, un odore e un fascino che le diversifica reciprocamente. E soprattutto che c'era qualcosa in quel piccolo oggetto Nintendo che sapeva farsi inspiegabilmente avvertire. - Dopo 3 anni di convinvenza sono convinto che si mentirebbe a se stessi nel volersi esimere dalla fatalità Nintendo. Esiste gente al mondo che ne ha le scatole piene di sentire parole quali Nintendo Difference, Magia Nintendo e roba simile. Io sono del parere che l'importanza storica di un'azienda come quella Nintendo, della sua avanguardia e dell'esperienza delle persone che ne fanno parte possano parlare attraverso il silicio, attraverso le emozioni registrate dal videogiocatore. Pare scontato, ma Nintendo é Nintendo. Ed é fuori dubbio che la storia dell’home entertainment di massa su console è sia prerogativa Nintendo.
E così che nel 2003 ho iniziato a giocare la ri-edizione di Zelda Ocarina Of Time del Nintendo 64 su GameCube: senza sapere nulla di Zelda, senza sapere nulla delle ore di gioco che mi sarebbero aspettate, senza sapere della Leggenda, della Triforza, di Link, Ganondorf o Shigeru Myamoto.
Ho iniziato a giocare con Nintendo da vero casual gamer, con il pensiero proiettato a quando avrei messo piede in
Ho iniziato a giocare con Nintendo da vero casual gamer, con il pensiero proiettato a quando avrei messo piede in
Ho iniziato a giocare con Nintendo da vero casual gamer, con il pensiero proiettato a quando avrei messo piede in Wind Waker dopo il giro di boa di Ocarina Of Time.
Ma
Ma
Ma Ocarina of Time mi circuiva inesorabilmente, attirandomi con forza, blandendo le mie ore di vita virtuale, lasciandosi lentamente innamorare di sé.
Al termine dell'esperienza, dopo circa un mese di gioco, durante le scene finali avevo le lacrime agli occhi. Goccioloni di emozione assieme a brividi scemi. Per tutto il tempo non avevo giocato a nient’altro, Zelda era divenuta la mia ossessione personale, una questione privata come si dice.
Per tutto il tempo ero sopreso nel sentirmi così rapito. Senza contare che era la prima volta che manifestavo spontanea commozione per un videogioco.
Ero letteralmente commosso per il viaggio, commosso per i simpatici saluti finali di tutti i personaggi incontrati, commosso per la storia, per l’esperienza nel Tempo, commosso per l’edificazione videoludica che avevo ricevuto.
Ero commosso per le notti insonni e le mattine e poi ancora le notti allucinate rapite dalla favola Zelda, dal sentimento, dalle sub-quest, dalla risoluzione dei dungeons…
Sentivo la mole dil lavoro dei game designer, la calda umanità che si era magicamente generata dietro lo sviluppo ludo-narrativo, il magnifico sense of wondering guidato che inspiegabilmente Grand Theft Auto III non mi regalava a tal punto.
Al termine dell'esperienza, dopo circa un mese di gioco, durante le scene finali avevo le lacrime agli occhi. Goccioloni di emozione assieme a brividi scemi. Per tutto il tempo non avevo giocato a nient’altro, Zelda era divenuta la mia ossessione personale, una questione privata come si dice.
Per tutto il tempo ero sopreso nel sentirmi così rapito. Senza contare che era la prima volta che manifestavo spontanea commozione per un videogioco.
Ero letteralmente commosso per il viaggio, commosso per i simpatici saluti finali di tutti i personaggi incontrati, commosso per la storia, per l’esperienza nel Tempo, commosso per l’edificazione videoludica che avevo ricevuto.
Ero commosso per le notti insonni e le mattine e poi ancora le notti allucinate rapite dalla favola Zelda, dal sentimento, dalle sub-quest, dalla risoluzione dei dungeons…
Sentivo la mole dil lavoro dei game designer, la calda umanità che si era magicamente generata dietro lo sviluppo ludo-narrativo, il magnifico sense of wondering guidato che inspiegabilmente Grand Theft Auto III non mi regalava a tal punto.
Al termine dell'esperienza, dopo circa un mese di gioco, durante le scene finali avevo le lacrime agli occhi. Goccioloni di emozione assieme a brividi scemi. Per tutto il tempo non avevo giocato a nient’altro, Zelda era divenuta la mia ossessione personale, una questione privata come si dice.
Per tutto il tempo ero sopreso nel sentirmi così rapito. Senza contare che era la prima volta che manifestavo spontanea commozione per un videogioco.
Ero letteralmente commosso per il viaggio, commosso per i simpatici saluti finali di tutti i personaggi incontrati, commosso per la storia, per l’esperienza nel Tempo, commosso per l’edificazione videoludica che avevo ricevuto.
Ero commosso per le notti insonni e le mattine e poi ancora le notti allucinate rapite dalla favola Zelda, dal sentimento, dalle sub-quest, dalla risoluzione dei dungeons…
Sentivo la mole dil lavoro dei game designer, la calda umanità che si era magicamente generata dietro lo sviluppo ludo-narrativo, il magnifico sense of wondering guidato che inspiegabilmente Grand Theft Auto III non mi regalava a tal punto.
[Tratto da http://www.electronicself.blogspot.it/ ]

Luigi Marrone: Critica Videoludica|Bruce Lee|Bioshock

La contaminazione della bellezza

La contaminazione della bellezza è dramma, molto più di quanto si possa immaginare. Le morti connaturate al primo Resident Evil erano veemenza contro un Avatar videoludicamente distinto dalla controparte in FMV, dai filmati con attori in carne ed ossa, distanti dal gamer. Leon S. Kennedy del Resident Evil 4 si presenta alle stampe attraverso la sua controparte digitale, che risulta una e trina : promozionale, FMV e in game. 


 [Tratto da http://www.electronicself.blogspot.it/ ]

ELOGIO DEL RETROGAMING O DEI VIDEOGIOCHI SIMBOLICI - di Luigi Marrone