sabato 25 maggio 2013

LUIGI MARRONE E GIOPEP - L' EDIFICAZIONE DELL'UOMO MEDIANTE IL VIDEOGIOCO (tratto da outcast podcast speciale reportage quovadis 2013) -PRIMA PARTE-

DOMINO Racconto in gara per la quinta edizione del concorso letterario “Montesilvano scrive”


di Luigi Marrone
Il buon viso a cattivo gioco, polverizzato ormai nei miasmi delle troppe, ripetute
umiliazioni e delusioni e torti subiti e rospi ingoiati che sempre poi restano impuniti nel passato.
          Per cui poteva capitargli come quel giorno, quando il potenziale futuro boss lo aveva accolto in una stanza, e durante il colloquio gli aveva domandato “Ma ha già avuto modo d’analizzare la nostra gestione? Un’idea se l’è fatta?”.
E così lui aveva annuito, accennando poi alla eventuale mole di lavoro, alla gestione di un “certa complessità", e il boss forse nervoso per i troppi colloqui quel giorno aveva sparato "Ma che gestione complessa! Non diciamo cazzate, su!".
         A quel punto lui sempre sorrideva. Fissava negli occhi l’uomo che aveva di fronte, giusto qualche secondo. Poi s’alzava dalla sedia, fermo e risoluto, ma in un modo sereno, calmo, serafico.
"Grazie" esclamava cortese.
“Buon lavoro” augurava salutando.
Ed è chiaro che quelli restavano stupiti, torvi, spiazzati - "Ma cosa fa?" chiedevano risentiti, “Ma dove va?” ribattevano contrariati. E una volta c’era pure stato uno che gli aveva detto "Scusi, sa. Forse siamo partiti col piede sbagliato…" -
Ma lui ormai era già altrove. Prendeva e andava via senza nulla spiegare, calmo e in pace.
"Quello che si permettono di dire la prima volta” rifletteva sempre.
“È già tutto lì. È tutto quanto lì” sentenziava.

La libreria era arrivata qualche anno dopo.
Un vecchio sogno messo su dopo tanti sacrifici – così quel giorno lui dietro al bancone fissava il monitor per informarsi sulle novità in uscita, mentre questa piccola ditta era venuta lì solo per installargli una porta di ferro nera, pesante, e c’era questo capetto a braccia conserte poggiato al muro ad osservare con occhi sfottitori i suoi due giovani operai -
"E datevi una mossa, deficienti" diceva loro divertito.
“Proprio due imbecilli siete, eh?" li attaccava.
E i due operai che sorreggevano la porta erano solo due giovani ragazzi piegati che sudano, si sforzano, non osano, non ribattono nulla lanciandosi certe occhiate silenziose come cani bastonati -
“Forza, su!” insisteva il capetto, “E muovetevi, stronzi!” ripeteva. E davvero non c’era alcun bisogno di dire quelle cose, mentre oltre le vetrine un sole acquoso inonda le chiome dei platani schiumanti d’un verde fluorescente, e bambini e passeggini e uomini e madri passeggiano sull'acciottolato caldo -
"E andiamo, brutti coglioni! Sbrigatevi, brutti…”
"Ok. Va bene così" aveva tagliato corto lui.
"Può lasciare tutto com’è. Per me va bene così" aveva sentenziato.
Ed è chiaro che al momento il capetto non capisce. Trasecola, si stacca dal muro, resta come interdetto in uno stupore spiazzato.
"Ma, ma…" balbetta stupefatto.
"Ma adesso, come si fa..." farfuglia spaesato.
“Non si può, c’è l’accordo!” recrimina infine risentito, offeso, accigliato.
"Lei non si preoccupi" gli aveva risposto lui conciliante.
"Le rimborso le spese che ha affrontato. Lasci pure tutto così" lo aveva rassicurato.
E i due giovani operai con la porta di ferro sono ancora lì fermi, a occhi bassi, spaventati, pietrificati -
"State tranquilli” gli aveva detto lui rassicurante.
“Non è colpa vostra” aveva specificato scotendo il capo con un sorriso.
“È solo colpa sua" aveva concluso infine, indicando col mento il capetto accigliato.

Da dietro la vetrina aveva osservato i due ragazzi ricaricare gli attrezzi e risalire sul furgone.
Li aveva visti ripartire in silenzio, deferenti, senza dirsi una parola.

"Per quel che potete, uno dopo l’altro” aveva pensato osservandoli.
“Cadono tutti, se li spingete anche voi"
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