sabato 16 novembre 2013

Considerazioni finali su THE LAST OF US di LUIGI MARRONE - tratto da DIETROLOGIA VIDEOLUDICA S2.01

venerdì 4 ottobre 2013

Luigi Marrone e la perorazione di Cronemberg

[ botta e risposta tratto da http://www.dietrologiavideoludica.it/sito/beyond-due-anime-anteprima/]

    Luigi Marrone
    30 settembre 2013 alle 16:04   

    Riguardo ai film sui videogiochi, avete definito eXistenZ un film di m****.
    Io, faccio finta che non siete degli indegni.
    Faccio finta di non aver sentito.
    ;)
    Rispondi   
        admin
        30 settembre 2013 alle 23:20   


        Luiggggi… cio sai che te volemo bbene ma quello è un film di serie c dentro un film di serie b :D
        Rispondi   
            Luigi Marrone
            1 ottobre 2013 alle 08:14   


            E secondo voi Cronenberg, con tutto il suo portato di teorico (del cinema) sui new media, peraltro canadese come Mcluhan, s’adoperava a fare un filmuccio di serie C? Un film tra l’altro premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino?
            Voi siete pazzi!!!!!! :P
            Posso comprendere perché, a causa della difficoltà di rintracciare una ermeneutica adeguata per i film di Cronenberg, si possa liquidare eXistenZ così. Ma non posso giustificarvi in qualità di studiosi riflessivi del Videogioco.
            Cronenberg è tesi sul linguaggio, in primis. Della tv in Videodrome, della procreazione in The Brood, della telepatia in Scanners, del corpo e della velocità in Crash, e via cantando. Probabilmente voi ignorate alcuni piani di lettura (metaforici, psicologici, simbolici…) che vi porterebbero a considerare – e a provare gusto – nello scoprire che il portato estetico e narrativo di eXistenZ, da voi definito m****, è un pretesto per svelare la tesi forse più ficcante al mondo che sia mai stata fatta da un autore cineasta sul Videogioco
            Vi butto quin una manciata di considerazioni a volo:
            1) la privazione dell’identità dello spazio “reale” per far posto ad altro (nella fattispecie il videogioco);
            2) la risultante psicologica dell’affettività al mondo altro che è il videogioco, caratterizzata da “console” senzienti – e che possono ammalarsi – a cui ci affezioniamo per la loro meravigliosa capacità di farci vivere altre realtà.
            3) L’eliminazione di interfacce esterne (joypad, kinect, ecc) per una connessione ultima e definitiva col mondo di gioco – sogno bagnato di ogni Oculus Rift a cui tutti noi videogiocatori tendiamo – grazie alla penetrazione/innesto del “cordone ombelicale” della console nel nostro sistema nervoso/limbico.
            4) lo sguardo, vastissimo, sulla disincarnazione, sulla traslazione di noi nel virtuale, sulla semiotica della percezione nell’epoca della virtualità (e parliamo del 1999, quando le ciarle da forum come stiamo facendo adesso non erano proprio alla mano).
            E poi, lasciatemi dire, non avete trovato geniale i “realisti” che all’inizio sparano alla Geller (omonima del famoso Uri Geller) perché col suo videogioco mette in discussione lo statuto ontologico della realtà?
            Non ci sentite dentro Asimov, Gibson, e più ancora Dick?
            Dov’è finita la vostra percezione metaforica/speculativa? S’è fermata al canone estetico/ narrativo – “È un fillm di merda”? Davvero tutto qua?
            Vi ricordo che il vero gioco, alla fine del film, non era eXistenZ, bensì transCendenZ. Quasi un invito a una nuova lettura, per voi, e per chi dopo aver facilmente liquidato il film vorrà riconsiderarlo.
            “Il mondo dei giochi è come in uno stato di trance. La gente è programmata per accogliere così poco, e le possibilità sono così grandi…” afferma sconsolata Allegra Geller ad inizio film.
            Esattamente come mi son sentito io quando, ascoltando il podcast, vi ho sentito divertiti ad accogliere il nulla da un film di così vasta portata.

            Abbracci. ;)
            Rispondi   
                admin
                1 ottobre 2013 alle 11:41   

                Hai ragione, ci sento Asimov, Gibson, e più ancora Dick, come dici tu. Pertanto una sorta di riconcetualizzazione di elementi già visti in altri ambiti piuttosto che una vera e propria esplorazione indipendente. Non ho nulla contro il significato di questo film ma sublimarlo ad un’importanza storico cinematografica che non ha, o non ha completamente, è un eccesso di intelletualismo che trovo relativamente interessante. Anzi, forse questo film ha il grosso problema di essere ultrarilegibile tanto da potergli attribuire tutta la valenza artistica, concettualme e filosofica che si vuole a prescindere se sia intenzionale o meno. Anche io ci ho trovato degli spunti interessanti ma, e questa è ovviamente una mia (Simone) personale visione, il film tende ad un impianto estetico eccessivamente indeciso. Non è il trattare temi come la afisicità, la virtualità, il distacco caotico dalla realtà e la relativa incapacità di riconoscimento che rende un film un capolavoro per quanto possa essere o meno stato premiato. Ho visto film premiati con orsi d’oro, cavalli d’argento e tartarughe di piombo che sono spariti dalla storia del cinema.
                Crash è forse l’unico citato che merita di essere considerato un capolavoro, un’opera veramente consapevole e matura.
                Il resto è tutto molto opinabile per quanto libri, testi e quant’altro possano voler dimostrare il contrario.
                Rispondi   
                    Luigi Marrone
                    1 ottobre 2013 alle 12:49  
 

                    Eccomi Simone! ;)
                    Non mi soffermo sul piacere estetico che può dare o meno vedere questo film. E’ questione puramente soggettiva, di codice cronenberghiano metabolizzato, e se uno non ha mai subito la fascinazione letteraria delle concezioni allucinate degli universi di prosa esplosa di Burroughs o di Ballard tipo, se non si è mai letto Nova Express o La Morbida Macchina, non è un problema.
                    Ciò che qui critico è la diffusione di un giudizio volgare su di un’opera che non va fatto. Ti parlo di un’opera che a prescindere dalla sua “importanza storico cinematografica”, dei premi vinti coi loro nomi reali o sbeffeggiati e del dimenticatoio in cui cadono, tratta di ciò su cui ci si potrebbe fermare a riflettere – almeno per chi si interessa di videogiochi – in modo speculativo, visionario e profetico su ciò che credo potrebbe interessare a molti di noi: il futuro del videogioco.
                    Ti parlo delle risonanze sociali, psicologiche, collettive e individuali che il videogioco innesta – e potrà innestare in seno all’essere umano – nel momento in cui vi si interfaccia.
                    Ti parlo della ridefinizione ontologica della realtà che esso comporta, che rende incerta l’oggettività oggi sempre più liquida che la minaccia.
                    E ci metto la mano sul fuoco, eXistenZ potrebbe imbastire un discorso meraviglioso sul videogioco mediante una puntata ad hoc che sono certo saprebbe farti provare gusto per le concezioni e le risultanze speculative che ingenera e schiude, in modo forse insospettabile.
                    La realtà oggettiva non esiste. E’ tutta questione mentale, di come la pensiamo, la realizziamo, la rendiamo tale. Il rapimento, il risucchio magnetico dentro sé che ci offre il videogioco rende esplicito questo in modo impressionante. Dipende da come si vede cosa, oltre ciò che questa cosa sembra. eXistenZ è IL film sul videogioco più d’ogni altro.
                    Forse tu vedi tutto questo, e lo posso capire, come un eccesso di (forzato?) intellettualismo, relegato cioè al bisogno di voler vedere, da parte di menti febbrili e intellettualoidi infarcite di “libri, testi e quant’altro” qualcosa in un film che ha semplicemente grossi problemi estetici, viziato nella sceneggiatura e nella forma, ma questo crea fra noi una posizione di divergenza e di approccio al film – e forse all’esistenza? – pressoché totale.
                    Qualcosa che culturalmente parlando, è sempre il Male.
                    Il linguaggio di Cronenberg, lo studio sociologico, il simbolo di critica sociale che lascia emergere in eXistenZ per me si traduce in elementi chiari, nitidi, diretti, puliti, trasparenti e inequivocabili. Si tratta di una cultura del virus della modernità, del polisemico e del difficilmente definibile oggettivamente (che tu, refrattario al suo linguaggio, denunci invece come ultra-rileggibile, con pretese quindi intellettualoidi, snob, definendolo proprio in virtù della sua liquidità un “grosso problema” oggettivo che il film ha).
                    Soprattuto si tratta del trascendere il mero dato materico, o la pretestuosità dell’impianto narrativo o il pupazzo di gommapiuma che in scena viene sventrato, per scoprire un senso di linguaggio nuovo, più complice, più ricco di quello messo in scena dall’autore.
                    Vorrei che questo vomito non passasse solo come giri ben ordinati di parole “a difesa” di Cronenberg, bensì come l’esigenza di spiegarmi nata dal genuino spiacere d’aver sentito liquidare come “merda” un’opera come quella di Cronenberg, che messa in tale guisa ripeto castra ogni possibilità di confronto e speculazione culturale.
                    E questo, torno a dire, è sempre un male. ;)

                    Ps. Perché non farci invece una puntata di DVL ad hoc, a questo punto? Butto giù io la scaletta, direttamente suggestionata dalla ri-visione del film (sarà un paio d’annetti che non lo vedo).
                    Ne parliamo assieme, felici e appagati come sappiamo fare, e magari spigniamo gli ascoltatori a vedere il film e a cercare una chiave di lettura – o di disposizione interiore – diversa?
                    Vedi mai che dal letame nasce un fiore?
                    ;)
                    Luigi Marrone
                    1 ottobre 2013 alle 14:37   


                    Riguardo poi la mia suscettibilità verso Cronenberg…
                    Io non solo comprendo Cronenberg, ma lo sento. Si tratta proprio di un processo intimo, di riconoscimento empatico con la sua verve teorizzatrice, psichica e speculativa. I suoi film mi suggestionano, mi regalano un’inquietudine psichica di tipo magnetico, trascendente e metafisico, come se la fotografia, i dialoghi, i personaggi e la sua pellicola fossero pregni di una intelligenza introversa, invisibile, una coscienza nascosta e conturbante che permea tutto il film.
                    Pochissimi autori sono in grado di procurarmi una fascinazione tale.
                    Ed è in quest’ottica infatuata e magnetizzata che io impatto con l’universo Cronenberg, e con quello di eXistenZ in particolare.
                    Difficile spiegarlo a parole.
                    Credo derivi dall’esser stato influenzato psichicamente, sin dalla adolescente età, dalla scrittura sperimentale di William Burroughs. Dagli sperimentalismi teorici di Burroughs.
                    E a parte questo, so solo che tale qualità magnetica conturbante è prerogativa dei grandi artisti psichicamente penetranti. Di quando ti trovi di fronte a un videogioco profondo e di carattere. Di quando dinanzi a un’opera, come il ferro polverizzato che viene attratto da un magnete, ti esalti per alcuni tuoi elementi interiori che s’accendono intensamente e diventi improvvisamente più ricettivo senza spiegarti perché.
                    Soprattutto, credo si tratti di quando senti senza spiegarti che la cifra stilistica di un’opera è passata, strizzata, filtrata da una intelligenza creativa che muove i suoi fili teorici dietro le quinte, spingendo il linguaggio intelligibile che vuole trasmettere alla deriva del conoscibile.
                    Si tratta di un processo simpatetico fra fruitore e opera, Simone, quasi d’identità psichica e intellettuale totale.
                    Ecco perché non solo verso eXistenZ, ma anche la mia persona si è sentita da voi apostrofare male. ;)
    Il distruggitore
    30 settembre 2013 alle 20:47   

    No perché Existens è un capolavoro? :D
    Rispondi   
        Luigi Marrone
        30 settembre 2013 alle 21:17   


        Tutto Cronenberg è capolavoro.
        Ed eXistenZ è IL film/frontiera sulla realtà neurale, la connessione, le interfacce, la filosofia del reale e in definitiva sull’ontologia prima e ultima del Videogioco.
        Be careful when you judge a masterpiece, baby.
        :P
        Rispondi   
            admin
            2 ottobre 2013 alle 17:32   


            Capisco quello che vuoi dire ma trovo sempre esagerato ogni risentimento e ogni forma di suggestione percettiva dovuta da intime apparenti comprensioni del tutto rispetto all’opera di qualcun’altro. Ma questo è un mio problema. Non ho purtroppo il tempo, anche se avrei voglia, di risponderti su tutto ma accetto il tuo invito e ti esorto a convocare un bel puntatone in merito. Se vuoi ti preparo il documento ;)
            Rispondi   
                Luigi Marrone
                3 ottobre 2013 alle 14:09   

                Sarebbe meraviglioso, semplicemente fantastico ;)
                Fino a lunedì non ho tempo di pensare ad altro che alle consegne per PSM, poi mi tuffo nella produzione di domande/suggestioni per la relativa puntata.
                …
                “Faremo nuove tutte le cose”.
                ;)
                Rispondi   
    Rafport
    2 ottobre 2013 alle 16:32
   

    Ragazzi avete un problema nel sito, quando apro la pagina di Beyond carica nella parte inferiore codice di qualche forum di cinema

    :D
    Rispondi   
        admin
        2 ottobre 2013 alle 17:34 
  

        :D il buon Luigi è una grande mente e una persona con un senso artistico molto espanso. E’ stimolante parlare con lui anche se in generale condivido la metà delle cose che dice. Ma questo ovviamente è più un limite mio che altro ;)
        Rispondi   
    Rafport
    3 ottobre 2013 alle 01:00   


    Sono d’accordo, Luigi è un oratore brillante che esprime concetti mai banali su cui si può concordare o meno (come per qualsiasi espressione d’opinione) e che obbligano, anche per la forma utilizzata, ad una certa riflessione in chi legge o ascolta. Ironizzavo sul fatto che, anche se francamente lo trovo divertentissimo, i più assidui commentatori siate voi stessi e raramente l’argomento ha qualcosa a che fare con l’articolo :D

    In un certo qual modo, anche se l’attività trasuda passione e poco conformismo (due gran pregi a mio modo di vedere), un lettore potrebbe sentirsi intimorito nel postare commenti dopo i vostri. Su una puntata tipo “l’uso del vapore in un ipotetico force feedback vittoriano” magari chi ha qualcosa da dire è matto abbastanza dall’inserirsi a prescindere, ma su una più classica anteprima di un videogioco di prossima uscita come questa magari la disquisizione su Existenz può spaventare.

    Mi avete convinto a riaccendere la PS3 con intenti ludici, mi sono scaricato il demo e tecnicamente sticazzi. Avrei preferito vedere un po’ di storia tuttavia, l’intero demo è rappresentato da una sfilza di quick time events ed è più bello da guardare che da giocare a mio avviso. Confido nella presenza di alieni e in personaggi asmatici col Ventolin in tasca. Non sarebbe male anche un concerto clandestino di Bowie. Mi basterebbe sia un bel gioco, cosa che probabilmente sarà, ma credo lascerò passare comunque un po di tempo prima di un eventuale acquisto. L’alieno stagionato migliora assai, e costa pure meno.

    Nella mia demo ho visto dei problemi di rendering nella parte finale, con la fuga in moto. Dato l’elevato numero di poligoni, pare che l’hardware della PS3 sia sfruttato pesantemente e sviluppi molto calore. Non vorrei, essendo nello stesso mobile, che mi fondesse (nuovamente) la 360 per irradiazione :D
    


giovedì 5 settembre 2013

Luigi Marrone sul film: "Another Earth"

Ho visionato Another Earth. 
Considerazioni a caldo. 
Ci si può innamorare della luce che splende di dolorosa consapevolezza esistenziale negli occhi di lei. E dei suoni, della fotografia, dell'oro di suoi lunghi capelli - e della dolorosa, disumana consapevolezza che rifulge d'amore e compassione dappertutto. 
Ho lacrimato nel vederla stendersi accanto l'indiano sordo-cieco, sensorialmente isolato. 
Ho lacrimato alle lacrime di lui, dopo la cosciente necessità del perdono. 

Il dramma scoperchia la vastità del'Io interiore, e dell'inconscio, assurgendo a dimensioni di cosmo, di universo, di consapevolezze totalizzanti. Se la sincronicità fra i due Io, apparentemente divisi, viene spezzata nel momento in cui si osserva per la prima volta l'altra Terra, vuol dire che le due ragazze hanno visto l'altra Terra in momenti differenti. 
Che le possibilità deterministiche implodono nel momento in cui, consapevoli, ricongiungiamo io e l'Altro. In termini puramente filosofici-psicologici, il film inscena una palese esplicitazione del dialogo interiore con l'Io, che crea metaforicamente un altro da sé, altrove, avulso, nel film materializzatosi in un altra Terra. Quasi una parabola del trascendersi, nel senso di vedersi realizzati altrove, in un aldidlà al contempo che è qua, hic et nunc, dentro noi (ribadito a metà film dal vecchio cieco, non ancora sordo). 
E poi l'intento buddista di coltivare il silenzio interiore, scevro da ogni contaminazione del razionale, per giungere all'assenza di concetto e facolta concettualizzatrice. ... Avrei preferito che la luce, il suono della luce e quella fotografia e l'azzurro degli occhi di lei, non avessero storia conclusiva, ma fossero durati indefinitamente. 
Come in certi passaggi di puro vagare per poi metabolizzare la magnifica, splendida suggestione ambientale di The Last of Us.

 http://it.wikipedia.org/wiki/Another_Earth

lunedì 15 luglio 2013

Esternazioni Private - Tomo IX

[sui vecchi videogames erotici della Nintendo - vedi  http://www.youtube.com/watch?v=7B-Zi1BQl0w]

Nel fervore emotivo frollante che dona un'immagine statica e immortale, il gameplay non ce lo si porta in Paradiso.
E' irrilevante.

Esternazioni Private - Tomo VIII

Qualcosa in ambito videoludico, in un senso artistico emotivamente sentito... È sempre un'idea fissa, perdurante, come un tarlo roditore in me.
L'essenza nostalgica, rarefatta e fondente contenuta in certi momenti di "Dopolavoro", ma concentrata in ambito puramente letterario...
Questo è ciò che un giorno dovrò affrontare. Mi aspetta insistente, chiedendo d'essere risolto in me.
Lo so.
Presagi.
È come una nobilitazione/edificazione del videogioco grazie al modo in cui sino ad oggi un letterato non ne ha ancora mai scritto, sentito, vissuto, contagiato.
Un libro generazionale fatto di una prosa poetica irriducibile, disarmante e inconfutabile riguardo il videoludo, che evolve per sempre la percezione popolare e non di come l'esperienza videoludica è sempre stata generalmente considerata.
Spingere i registri letterari nel descrivere gli ambiti spirituali che il videogioco può toccare. Sconcertare la consapevolezza di ciò che accade all'anima per il processo di smaterializzazione videoludicamente inteso.
Non so come tutto questo potrà essere, un giorno, domani.
Ma è in me.
Oltre queste "certezze" - consce o inconsce che sono - attualmente non so andare.

Esternazioni Private - Tomo VII

Sono all'inizio di Automatik3. L'ho trovato deliziosamente asettico e scorrevole. Sembra di tornare indietro nel tempo, ove una certa remissività, ingenuità, fiducia e serenità verso la società ancora predominavano sul cattivo gusto tipicamente dei giorni nostri, quello in cui narcisismo, ritmi veloci, click inconsulti e immondizia condivisa sulle reti sociali sembrano aver offuscato una certe genuinità d'essere e vivere i fatti del mondo.
Una scrittura nitida, calma e compassata, che nulla comunque toglie al processo magico di raccontarsi.
Spero andando avanti continui la commistione videgiochi-condizione professionale, sì da creare...
... un documento, uno spaccato diaristico e di cronaca del tempo e della condizione umana.

Esternazioni Private - Tomo VI

Forse sorvoli con preziosa ignoranza le delizie dialogiche annidate in una sessione coop, ove un gamer amico si trasforma in entità ludo-contestualizzata, recitando la sua parte e sinergizzando gli intenti con il compagno.
Sparisce la deriva misantropa del single-player, s'aprono spazi impensabili di complicità e partecipazione, nonché di temperato, videoludico relax.
In coop si svelano le passioni del videogioco giocato.

Esternazioni Private - Tomo V

I coin op erano motivi d'incontri e discussioni sociali, di gran lunga preferibili alla triste, ripiegata clandestinità a cui le nicchie relegano gli "slot mangiasoldi" giocatori. Soprattutto, del lato creativo, vista la pochezza creativa che contraddistingue il nostro tempo, le slot ne uccidono il senso.
E' forse questo, quanto di più vomitevole ci sia.

Esternazioni Private - Tomo IV

Respirando il tuo credere, ho avvertito una piccola fessura pulsatile nel mio inconscio vibrare.
Qualcosa di potente, disciolto, languido.
Qualcosa credo come un futuro ambito di me che sgorga nel videoludo... forse un libro scritto in prosa spettrale, à la William Burroughs... forse audio-racconti di suggestioni videoludiche...
Tutto questo mi giunge e lo avverto tramite suggestioni.
Non so cosa, come o quando, ma sicuramente qualcosa c'è.

Esternazioni Private - Tomo III

Dio quanto mi rivedo in questo trapasso, oltre e dentro lo schermo, a donare legittimità a questa realtà altra che in fondo, tanto altra poi non è. Dalla mia cmq ho alcune potenti sensazioni riguardo al futuro, il mio, in cui la virtualità pare sovrapposta alla rinnovata capacità quotidiana e personale di riviverla fuori lo schermo, in una salvifica, fideistica complicità con la ludicità di un pensiero creativo ogni giorno rinnovantesi. Sembra nebuloso, nell'inconscio. Nell'inconscio, sembra tutto chiaro. Spero un giorno di arrivarci...

Esternazioni Private - Tomo II

Come se qualcuno preciso leggesse quest'anima raminga, che spesso volge all'incubo dell'inconscio l'eterico suo sguardo.
...Per ridiscendere poi dopo l'umbratile volo, nel fisico corpo che langue trasognato.
Di cosa potrei nutrire non ho alcunissima idea.
Ma l'emozione del volo, di certo, m'è prerogativa innata.

Esternazioni Private - Tomo I

Per osservarmi al meglio mi trascendo.
Solo che a volte dimentico d'essere ancora nel bozzolo, mentre produco prose spettrali.
Però attendo, con calma.

Sulle SlotMachines Mangiasoldi

Aldo Busi afferma che la la sessualità, intesa come riequlibrio del nostro benessere psicofisico, è strettamente correlata al benessere finanziario. In una società in crisi come la nostra, senza redditi minimi garantiti, ammortizzatori sociali e soprattutto senza uno stato assistenziale di fatto, la deriva ludica perversa legata ai meccanismi emotivi rischio/ricompensa tipico delle "slot mangiasoldi", sono la cosa più infida, bastarda che ci sia. Dovrebbero proibire, bandire, esiliare questo meccanismo di lucro che azzanna alla gola l'uomo in crisi, patologicamente intrappolato come spesso - quasi sempre - risulta.
Da come puoi quindi intuire, non riesco a veder convivere il binomio coin-op/slot mangiasoldi, poiché il meccanismo psicologico che sottende e legittima le funzioni di queste ultime, è diverso dai nostri amati videogiochi.
Le "slot mangiasoldi" sono cose bastarde, infingarde, create per indurre nell'ipofisi una dipendenza proteica, senza divertimento né gioia.
I videogiochi, le competenze che richiedono, l'esempio di creatività che promuovono, no.

domenica 9 giugno 2013

Luigi Marrone e Andrea Maderna su: "Richard Garriott, l'autorialita' e la frontiera dei videogiochi" - Tratto da "outcast podcast speciale quo vadis" -seconda parte-

Da bimbo, a dieci anni di distanza dell’esplosione del mass-marketing videoludico, i miei genitori, senza invadente invadenza, sapevano come essere presenti in tutti i miei acquisti ludici. E’ stato mio padre a riportare a casa una vecchia imitazione dell'Atari, comprensiva di Pong, senza ch'io avessi chiesto nulla.

sabato 25 maggio 2013

LUIGI MARRONE E GIOPEP - L' EDIFICAZIONE DELL'UOMO MEDIANTE IL VIDEOGIOCO (tratto da outcast podcast speciale reportage quovadis 2013) -PRIMA PARTE-

DOMINO Racconto in gara per la quinta edizione del concorso letterario “Montesilvano scrive”


di Luigi Marrone
Il buon viso a cattivo gioco, polverizzato ormai nei miasmi delle troppe, ripetute
umiliazioni e delusioni e torti subiti e rospi ingoiati che sempre poi restano impuniti nel passato.
          Per cui poteva capitargli come quel giorno, quando il potenziale futuro boss lo aveva accolto in una stanza, e durante il colloquio gli aveva domandato “Ma ha già avuto modo d’analizzare la nostra gestione? Un’idea se l’è fatta?”.
E così lui aveva annuito, accennando poi alla eventuale mole di lavoro, alla gestione di un “certa complessità", e il boss forse nervoso per i troppi colloqui quel giorno aveva sparato "Ma che gestione complessa! Non diciamo cazzate, su!".
         A quel punto lui sempre sorrideva. Fissava negli occhi l’uomo che aveva di fronte, giusto qualche secondo. Poi s’alzava dalla sedia, fermo e risoluto, ma in un modo sereno, calmo, serafico.
"Grazie" esclamava cortese.
“Buon lavoro” augurava salutando.
Ed è chiaro che quelli restavano stupiti, torvi, spiazzati - "Ma cosa fa?" chiedevano risentiti, “Ma dove va?” ribattevano contrariati. E una volta c’era pure stato uno che gli aveva detto "Scusi, sa. Forse siamo partiti col piede sbagliato…" -
Ma lui ormai era già altrove. Prendeva e andava via senza nulla spiegare, calmo e in pace.
"Quello che si permettono di dire la prima volta” rifletteva sempre.
“È già tutto lì. È tutto quanto lì” sentenziava.

La libreria era arrivata qualche anno dopo.
Un vecchio sogno messo su dopo tanti sacrifici – così quel giorno lui dietro al bancone fissava il monitor per informarsi sulle novità in uscita, mentre questa piccola ditta era venuta lì solo per installargli una porta di ferro nera, pesante, e c’era questo capetto a braccia conserte poggiato al muro ad osservare con occhi sfottitori i suoi due giovani operai -
"E datevi una mossa, deficienti" diceva loro divertito.
“Proprio due imbecilli siete, eh?" li attaccava.
E i due operai che sorreggevano la porta erano solo due giovani ragazzi piegati che sudano, si sforzano, non osano, non ribattono nulla lanciandosi certe occhiate silenziose come cani bastonati -
“Forza, su!” insisteva il capetto, “E muovetevi, stronzi!” ripeteva. E davvero non c’era alcun bisogno di dire quelle cose, mentre oltre le vetrine un sole acquoso inonda le chiome dei platani schiumanti d’un verde fluorescente, e bambini e passeggini e uomini e madri passeggiano sull'acciottolato caldo -
"E andiamo, brutti coglioni! Sbrigatevi, brutti…”
"Ok. Va bene così" aveva tagliato corto lui.
"Può lasciare tutto com’è. Per me va bene così" aveva sentenziato.
Ed è chiaro che al momento il capetto non capisce. Trasecola, si stacca dal muro, resta come interdetto in uno stupore spiazzato.
"Ma, ma…" balbetta stupefatto.
"Ma adesso, come si fa..." farfuglia spaesato.
“Non si può, c’è l’accordo!” recrimina infine risentito, offeso, accigliato.
"Lei non si preoccupi" gli aveva risposto lui conciliante.
"Le rimborso le spese che ha affrontato. Lasci pure tutto così" lo aveva rassicurato.
E i due giovani operai con la porta di ferro sono ancora lì fermi, a occhi bassi, spaventati, pietrificati -
"State tranquilli” gli aveva detto lui rassicurante.
“Non è colpa vostra” aveva specificato scotendo il capo con un sorriso.
“È solo colpa sua" aveva concluso infine, indicando col mento il capetto accigliato.

Da dietro la vetrina aveva osservato i due ragazzi ricaricare gli attrezzi e risalire sul furgone.
Li aveva visti ripartire in silenzio, deferenti, senza dirsi una parola.

"Per quel che potete, uno dopo l’altro” aveva pensato osservandoli.
“Cadono tutti, se li spingete anche voi"
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