mercoledì 6 aprile 2016

Sognare sulle pagine di una rivista di videogiochi.


…posso giocare solo quando torno giù (natale, pasqua, estate)” scrive Giulia nel gruppo Telegram di PSM.
Per poi concludere con una consolazione:
“È bello sognare sulle pagine di PSM”
Sognare sulle pagine di PSM.
Sognare sulle pagine di una rivista di videogiochi.
Le parole di Giulia mi hanno fatto riflettere molto.
Le riviste di videogiochi, prima del sovraccarico informativo del web, possedevano una funzione magica connaturata agli elementi tipici della comunicazione letteraria: il potere di sprigionare uno spazio immaginativo nella mente del lettore, che lo induceva a "sognarlo" in movimento, il videogioco, prima che questo fosse direttamente sperimentato.
Grazie alla potenza delle sole parole, grazie all'estetica di semplici immagini statiche, il lettore poteva sognarne il gameplay, farsi un’idea audiovisiva, ipotizzarne il carattere, la personalità. In altri termini, poteva "fantasticarlo" anche senza giocarlo, un videogioco.
Il magico stava nel fatto che se anche quel videogioco alla fine non lo si sarebbe mai visto in movimento e non lo si sarebbe mai giocato - vuoi perché non era distribuito dalle proprie parti, vuoi perché i propri soldi erano stati spesi per altro - le immagini di una rivista ne decantavano nell'immaginazione e nella fantasia un potenziale tale che induceva appunto ad espanderne virtualmente la realtà ludica, cantandone le potenziali grazie. E sia che la realtà poi superasse l'immaginazione, sia che il videogioco si rivelasse una delusione totale, il lavoro d'immaginazione compiuto rendeva comunque ogni disvelamento una sorta di avventura mentale, un'epifania che possedeva in sé qualcosa di semplicemente meraviglioso, poiché intimamente soggettivo e umano: la pratica dell’immaginare.
Inutile ribadire quanto oggi sia definitivamente, irrimediabilmente successo qualcosa, da quando la critica e la diffusione informativa videoludica è passata al digitale. Lungi dal criticare il web e l'overload di informazioni, è tuttavia innegabile che nella pornografia informativa della contemporaneità, nell’infotainment e nel fanatismo delle analisi del frame rate a cui s’appellano quei deterministi tecnologici che oggi sono diventati molti videogiocatori, si sia di moltissimo diluita questa "emozione" dell’immaginare - e di conseguenza anche nel trasmettere l’emozione - quando si scrive di videogiochi.
Per tale motivo, talvolta penso che per quanto un recupero di certi status e condizioni interiori - in qualità di fruitori - sia oggi diventato molto improbabile (bisognerebbe tipo mettersi a digiuno di tutto, astenersi per qualche mese dal visionare video di videogiochi, leggendo e guardando e fantasticando solo sulle immagini statiche), ciò che può ancora essere fatto è tenere di conto e seguire quei recensori che ancora conservano questa "umanità emotiva dell'immaginazione", quando trasmettono ai lettori l'esperienza fatta con un videogioco.
Si tratta di un valore che necessariamente passa attraverso le parole, ma che s'immerge idealmente nella capacità di suscitare lo stesso stupore di sorprendersi, quando ci si trova di fronte agli universi possibili dei videogiochi.
Perché altrimenti si rischia di perdere tutto, ma davvero tutto se si ignora questa capacità umana di trasmettere l’emozione di immaginare.
E con questo mi riferisco a quella emozione che induce poi il lettore a lavorare di fantasia, e in definitiva a immaginare e a sognare, in special modo quando si trova a leggere una rivista di videogiochi.
LUIGI MARRONE